Nel corso della tua carriera hai ritratto molti animali e paesaggi. Questa mostra vuole però concentrarsi sulle tue opere dedicate ai gatti. In che modo, per te, dipingere i gatti è diverso dal rappresentare altri animali?

Quando dipingo un animale, cerco sempre di guardarlo con occhi nuovi e di chiedermi quali sono i tratti che più amo di lui. Nei gatti ciò che mi affascina di più sono spesso gli occhi e i baffi: sono questi gli elementi su cui tendo a concentrarmi di più.

Mi piace accennare alle loro origini selvatiche: i loro manti sono un vero piacere da dipingere e richiamano la tigre che si nasconde in ogni gatto domestico. Anche in un semplice soriano o in un rosso tigrato si possono scorgere quelle bellissime striature che confermano questo tratto selvatico. Mi piace definirlo come “la tigre che è in loro”.

C’è una qualità o un gesto felino che ti piace particolarmente catturare con le tue opere?

Credo di averlo in parte già detto… Amo gli occhi dei gatti. Le loro sfumature e venature colorate mi ricordano le costellazioni. I baffi, invece, rendono lo spazio tra loro quasi come una vetrata colorata, mentre le macchie del pelo richiamano sempre quelle degli animali selvatici da cui provengono.

Close-up of With Marbles for Eyes

Il tuo lavoro è stato descritto come un momento di contemplazione, qualcosa che possa offrire dei “momenti di gioia in un mondo frenetico e travolgente”. Pensi che il nostro legame con gli animali possa donare quello stesso senso di calma e piacere?

Assolutamente sì! È ormai riconosciuto che entrare in connessione con gli animali ha un impatto positivo su di noi. Le ricerche scientifiche lo confermano: frequentare un animale riduce lo stress e la pressione sanguigna, migliora l’umore e dona benessere. Anche una semplice interazione con un animale può facilitare la socialità e persino far nascere nuove amicizie.

Sappiamo che condividi la tua casa con una gatta, Piper, che ha ispirato anche la tua opera He Who Pays the Piper Calls the Tune. In che modo convivere con il soggetto delle tue opere, osservandolo ogni giorno, influenza o mette alla prova il tuo processo creativo?

Piper è una gatta molto particolare… È una randagia ed è arrivata da noi durante il lockdown. Sicuramente ha avuto in passato un brutto incidente, perché cammina come un cowboy: ma è una gatta autentica, piena di vita e con una personalità tutta sua (una personalità piuttosto stramba tra l’altro), e voglio che nei miei dipinti emerga proprio questo: il carattere unico di ogni animale.

He Who Pays the Piper Calls the Tune

Puoi raccontarci qualcosa del tuo processo creativo? Alcune tue opere sembrano variazioni sullo stesso tema, con sottili differenze di colore o atmosfera. Come nascono queste variazioni?

Mi prendo sempre un momento per entrare davvero in connessione con il soggetto e capire cosa voglio comunicare. Qual è l’emozione che desidero catturare? Cosa voglio che l’osservatore percepisca e porti con sé? Da queste riflessioni dipendono la composizione e la scelta dei colori: a volte parto dalla stessa immagini o da immagini molto simili, se una in particolare mi colpisce. Mi affascina sperimentare con diverse palette cromatiche. Nel dipingere, è il tono, il gioco di chiari e scuri, a costruire la forma dell’animale, ma è il colore che trasmette emozione e rivela la sua essenza. Il colore parla direttamente alle emozioni: cambiandolo, cambia anche la risposta di chi osserva.

The Look of Love I and The Look of Love II

L’acquerello è diventato la tua tecnica distintiva. È stato il tuo primo amore o lo hai scoperto dopo altre esperienze?

Mi sono innamorata molto presto dell’acquerello. Amo la sua imprevedibilità, il modo in cui il colore, sciolto nell’acqua, sembra avere una volontà propria. Scherzo spesso dicendo che dipingere ad acquerello in modo libero è come cercare di domare un gatto… e direi che in questo caso la definizione calza a pennello!

L’acquerello vive sulla carta: è spontaneo e imprevedibile, se glielo lasci fare. Il modo in cui il pigmento si muove nell’acqua è ipnotico. Certo, cerchiamo di controllarlo – senza però perdere freschezza e spontaneità – ma non si è mai del tutto padroni dell’acquerello. Può regalare piacevoli sorprese… o piccoli disastri! Un po’ come un gatto: un momento fa le fusa, e quello dopo ti graffia! Bisogna solo imparare a leggere i segnali.

Quali artisti, movimenti o influenze non artistiche hanno lasciato le loro “impronte” sul tuo stile?

Ammiro moltissimo i gatti di Endre Penovac, la loro semplicità ed eleganza mi lasciano senza parole.

Se dovessi citare altri artisti che mi hanno affascinata, direi Goya: la potenza emotiva de La fucilazione del 3 maggio 1808 è semplicemente straordinaria. Non posso dire di esserne influenzata, ma ne sono semplicemente incantata. Amo anche le illustrazioni di William Blake, Il Cardellino di Carel Fabritius e, più vicino a casa (vivendo nella Thames Valley) mi ispirano i paesaggi di Paul Nash e Stanley Spencer. Se fossi una pittrice paesaggista (e forse un giorno lo sarò!) loro sarebbero i miei punti di riferimento.

Endre Penovac, Winter Fur – Francisco Goya, La fucilazione del 3 maggio 1808 – William Blake, The Ancient of Days
Carel Fabritius, The Goldfinch – Paul Nash, Flight of the Magnolia – Stanley Spencer, Cows at Cookham

Hai un aneddoto sui gatti, riguardante la tua vita o il tuo lavoro, che ti piacerebbe condividere?

Avevamo due gatte, e una di loro, Mo, amava la tranquillità. Quando si stancava del trambusto di casa, spariva per un po’. Un giorno abbiamo sentito un urlo provenire dalla casa dei nostri vicini. La loro bambina aveva il letto coperto di peluche e, quando la madre è entrata, uno di loro si è mosso! Forse aveva visto troppi film dell’orrore, perché ha pensato che i giocattoli avessero preso vita. In realtà era Mo: aveva scelto quel letto come rifugio quando la casa diventava troppo rumorosa!

Qual è il tuo primo ricordo di un gatto?

Da bambina avevamo un magnifico maschio rosso. Per qualche motivo non era stato castrato (era l’inizio degli anni ’70, i proprietari di gatti all’epoca non erano così responsabili come ora) e nel villaggio nacquero molte cucciolate di gattini rossi di cui, temo, lui fosse il responsabile!
Un giorno sparì all’improvviso; forse aveva osato un po’ troppo nella sua vita da vagabondo.

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