Per questa mostra hai scelto di presentare il lavoro di reportage che svolgi tuttora con I Mici del Parco della Chiusa. Ci racconti come è iniziato questo progetto e perché proprio queste colonie?

Ho sempre avuto una passione per la fotografia, e quando per caso mi sono imbattuta nei gatti liberi del Parco della Chiusa, nel 2021, ho avuto un’illuminazione, trovando in loro un soggetto d’elezione… Quindi innanzitutto perché la mia avventura fotografica – e la mia vita da gattara – è iniziata con questi mici!

Con loro è cominciato un vero e proprio percorso di osservazione e conoscenza del mondo felino, che mi ha permesso di approfondire “l’esser gatto” nell’arte, nella letteratura, ma anche a livello etologico, così da riuscire a decifrarne i comportamenti, i movimenti osservati attraverso la lente della macchina fotografica. 

Per me questi gatti sono un rifugio salvifico, dove trovo conforto, meraviglia e libertà: la peculiarità di queste colonie feline è infatti quella di trovarsi all’interno di un bellissimo parco naturale, dove i gatti vivono liberi, e dunque se da un lato non conoscono l’essere limitati in uno spazio ristretto, dall’altro sono esposti a un destino non sempre controllabile.

Le tue immagini uniscono l’intensità della fotografia naturalistica e l’autenticità del reportage. I gatti che ritrai vivono liberi e possono essere diffidenti, difficili da avvicinare. Come hai imparato a fotografarli senza violare la loro libertà, anzi riuscendo a valorizzarla?

Non mi piace forzare nulla e amo “i gatti che fanno i gatti”, per cui preferisco rispettare la distanza che ogni gatto decide di voler mantenere, anche  se questo a volte può essere frustrante. Ma in genere attendo fiduciosa e in silenzio che esca dal suo nascondiglio o che si senta a suo agio, per concedersi a me quando lo vuole lui: nel momento in cui i suoi occhi si incontrano coi miei… è magia!

Hai definito i gatti dei “maestri di vita”. C’è qualcosa in particolare che ti hanno insegnato?

Sì, come dice Merrit Malloy “i gatti ci insegnano a vivere”. Ed è grazie a loro che ho ritrovato la mia parte istintiva e intuitiva, imparando a fidarmi di quella che chiamo la mia “anima randagia”, quella parte non addomesticata e non addomesticabile a cui troppo spesso abdichiamo. Purtroppo viviamo in una società alienante che ci allontana da noi stessi, da quella parte più autentica di noi, dove risiede la vera saggezza interiore. Trovo che i gatti siano l’esempio tangibile di cosa significhi vivere in contatto e in armonia con la natura esterna e, nello stesso tempo, rimanere fedeli alla propria natura interiore: ecco la loro grande lezione di vita!

Tu descrivi i gatti del parco come “apparizioni magiche in una foresta incantata”. C’è un momento o uno scatto in particolare che per te racchiude questa magia?

Di momenti magici ne ho vissuti tanti, ma lo scatto più intriso di poesia e di incanto, che tuttora mi ricorda un’emozione indescrivibile, è quello della gatta con i suoi due cuccioli. Un pomeriggio di novembre, mentre passeggiavo senza grandi aspettative, all’improvviso si è palesata dinanzi ai miei occhi questa scena così intima e così piena di tenerezza: mamma gatta che si rilassa con i suoi gattini… E tutt’intorno il foliage autunnale…. Ho smesso di respirare per paura che scappassero via!

C’è un gatto del Parco della Chiusa con cui si è instaurato un rapporto speciale rispetto agli altri?

Li amo tutti, ma devo confessare che con due gatte ho instaurato una connessione particolare, gatte che purtroppo sono scomparse all’improvviso, spezzandomi il cuore  in mille pezzi e forse anche insegnandomi ad elaborare la perdita dei nostri amati felini…

Si chiamavano Titti e Zigulì  e continuano a vivere nel mio cuore, e anche come presenza invisibile nei luoghi che gli appartenevano.

Mi piace considerarle le mie compagne d’anima silenziose, perché per me i gatti sono questo, alla fine dei conti.

La fotografia è sempre una scelta. C’è una qualità felina o un gesto che ami particolarmente catturare nei tuoi scatti?

Amo catturare la bellezza, l’eleganza, il senso di libertà dei gatti e poi i loro sguardi fieri e contemplativi… Sguardi in cui trovo silenzio e serenità.

Come afferma Bukowski, “l’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino”. 

Ci sono artisti, fotografi o altre  influenze anche non artistiche che hanno influenzato il tuo stile?

Sicuramente Walter Chandoha è una pietra miliare nell’ambito della fotografia dei gatti  e sono una grande fan dello stile fotografico di  Marcel Heijnen. Da un punto di vista concettuale, invece, ho trovato una grande risonanza nel libro Ogni Gatto è illuminato di Yoshitaka Masumi e Laura De Tomasi, dove immagini e parole ci raccontano i gatti attraverso un mix di fotografia e filosofia che mette al centro i gatti e ne fa dei piccoli maestri di saggezza, capaci di vivere nel qui e ora e  la cui osservazione ci avvicina alla nostra vera essenza.

Hai un aneddoto legato ai gatti (nella tua vita o nella tua pratica fotografica) che ti piacerebbe condividere?

Ho adottato due gatti provenienti dal parco: la prima, Mia, una tigratina di 2/3 mesi rimasta incastrata nella crepa di un rudere, che dopo aver fatto temere il peggio e dopo molto penare è stata recuperata dai vigili del fuoco e Leòn, di cui mi sono innamorata proprio fotografandolo sin da piccolissimo.

Qual è il tuo primo ricordo di un gatto? 

Il mio Romeo, un gattino randagio vissuto soltanto 1 anno. Ritrovato affamato e scheletrico dopo un temporale, è sopraggiunto nella mia vita per caso, durante l’estate del 2020. Lui ha cambiato la mia vita, arricchendola, con la sua presenza e con la sua improvvisa perdita: infatti è grazie a lui se ho iniziato questa esperienza immersiva nel mondo dei gatti “di tutti e di nessuno”, un’avventura umana e fotografica che ha nutrito e continua a nutrire la mia anima.

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