L’Ulisse di James Joyce ha la fama di essere un’opera monumentale, che a volte può persino intimidire. Eppure tra le sue fitte pagine si nascondono momenti di profonda semplicità. Uno di questi sono le pagine iniziali dell’episodio 4, “Calypso”, in cui, oltre a conoscere il protagonista Leopold Bloom, incontriamo anche una loquace gattina. Per chi ha sempre esitato ad affrontare l’Ulisse, questa scena offre un piccolo assaggio abbastanza rappresentativo del genio di Joyce, nonché della sua sottile comprensione dell’universo felino.

Un cambio di scena: l’universo di Leopold Bloom

I primi tre episodi dell’Ulisse seguono il giovane insegnante Stephen Dedalus. Sono pagine dense e cerebrali, sospese su un terreno instabile. In “Proteus” seguiamo Stephen in una passeggiata sulla spiaggia di Sandymount, immerso nei suoi pensieri. A un certo punto si ferma ad osservare la carcassa di un cane, ma viene improvvisamente riportato alla realtà da un cane che abbaia, nervoso e scomposto, eco della sua vita interiore ansiosa.

Nel quarto episodio, “Calypso”, il registro però cambia. Incontriamo Leopold Bloom, un pubblicitario di mezza età, vero cuore del romanzo. L’ambientazione è la sua casa al n. 7 di Eccles Street. Il tono si addolcisce: il rognone che frigge sul fornello, una lettera della figlia sul tavolo, e una gatta che gli si struscia tra le gambe. Il ritmo della narrazione si fa più lento e pacato. Bloom dà da mangiare alla gattina prima di portare la colazione a letto a sua moglie Molly, la cui imminente relazione extraconiugale incombe sulla giornata.

Empatia e fusa

Bloom non può fare a meno di notare l’indipendenza dell’animale, ne ammira l’intelligenza e arriva persino a immaginare il suo punto di vista:

Dicono che sono stupidi. Capiscono quello che diciamo meglio di quanto noi non capiamo loro. Lei capisce tutto quello che vuole. Anche vendicativa. Crudele. La sua natura… Chissà come mi vede. Alto come una torre? No, è capace di saltarmi.

Non si tratta di una semplice osservazione umoristica, ma rivela la spiccata empatia di Bloom.

Joyce non si limita a registrare la presenza della gatta. Per alcune righe sembra quasi scivolare nella sua mente, sperimentando un flusso di coscienza felino: “Prr. Grattami la testa. Prr.” e usa onomatopee come “Mkgnao!”, “Mrkgnao!”, “Mrkrgnao!”, “Gurrhr!” che ci fanno percepire le diverse sfumature del linguaggio dei gatti.

Margot Norris, nel suo saggio “Tatters, Bloom’s Cat, and Other Animals in Ulysses”, sottolinea come la gatta in “Calypso” offra un raro scorcio su una vita interiore non umana. È un momento insieme divertente, tenero e immediatamente riconoscibile per chiunque abbia mai condiviso una cucina con un gatto.

Amore senza possesso

La vita di Bloom è banalmente complessa e solo apparentemente ordinaria. Gran parte di Ulisse ruota attorno al suo vagare per Dublino mentre l’ombra della relazione di sua moglie Molly rimane sullo sfondo. L’indole di Bloom è la chiave del loro rapporto, come afferma la stessa Molly nel suo monologo finale: “[…] sì ecco perché mi è piaciuto perché ho visto che lui aveva capito o sentito cos’è una donna e ho capito che potevo sempre tirarlo dove volevo e gli ho dato tutto il piacere che potevo […]”. Bloom, infatti, è il “new womanly man”: empatico, gentile e non vincolato dagli ideali maschili tradizionali del suo tempo. In questa prospettiva, la gatta in “Calypso” è molto più di un dettaglio. Lo sguardo paziente e divertito di Bloom verso l’indipendenza della gatta suggerisce una capacità più ampia: amare senza costringere, accettando la libertà altrui.

I gatti nella vita e nelle opere di Joyce

Non ci sono prove che Joyce abbia mai avuto gatti ma sicuramente nutriva per loro una certa simpatia, dal momento che quella in “Calipso” non è l’unica presenza felina nei suoi scritti. Nel 1936 scrive due favole a tema felino per suo nipote Stephen, The Cat and the Devil e The Cats of Copenhagen, entrambe pubblicate postume. In quest’ultima, Joyce scherza sul fatto che a Copenaghen “non ci sono gatti – solo troppi poliziotti”, intessendo un racconto fantasioso di libertà e irriverente anarchia felina. Come osserva Sadie Stein nel suo articolo del Paris Review “Cat Fancier” (2014), queste favole “bizzarre e liriche” mostrano come Joyce usasse i gatti come veicoli per la satira e come un garbato sberleffo all’autorità. Ma queste storie mostrano anche lo stesso affetto divertito nei confronti dei felini che percepiamo in “Calypso”, suggerendo che il gatto fosse una figura cara nell’immaginario della famiglia Joyce.

In Finnegans Wake compare anche Issy, la figlia-ninfa di HCE e ALP – personaggio che in più di un aspetto rimanda a Lucia Joyce, la tormentata figlia dello scrittore, il cui talento e la cui fragilità caratterizzarono una vita segnata da sofferenza psichica e ricoveri. Issy incarna un inquietante intreccio di precoce sessualità e infantilismo, reso in modo emblematico dai suoi stretti legami con il mondo felino: nel testo è talvolta rappresentata come un gatto domestico, conosciuto come “Buttercup” (FW 561.12) o “Biddles” (FW 561.36). In queste immagini torna un complesso intreccio metaforico tra qualità feline, giovinezza femminile e sensualità. Ma approfondire davvero questo tema ci porterebbe nel labirinto notturno di Joyce… E addentrarsi in questo labirinto ci condurrebbe ben oltre i confini di questo articolo.

James Joyce, The Cat and the Devil, prima edizione (Faber and Faber, Londra, 1965) – Illustrazioni di Gerald Rose.

Mkgnao! Un invito a scoprire Joyce

Tuttavia, per chi si avvicina per la prima volta a Joyce, l’incipit di “Calypso” è sicuramente un punto di partenza ideale, molto più delle pagine oscure di Finnegans Wake. Nella cucina di Bloom, l’onomatopea “Mkgnao!” e i piccoli gesti del protagonista – nutrire la gatta, coglierne gli umori, interrogarsi su come lui appaia ai suoi occhi – rivelano un’attenzione delicata, un’empatia e un amore non possessivo che trascendono il momento domestico. In poche righe Joyce ci offre un ritratto felino tenero e ironico, e attraverso di esso, quello di un uomo. In queste pagine c’è già tutto ciò che rende Joyce così grande. Se l’Ulisse vi è sempre sembrato inaccessibile, provate a incontrare Joyce nella cucina di Leopold Bloom con la sua gatta. Potreste ritrovarvi anche voi a fare le fusa.

Bibliografia

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