Creature eleganti, misteriose, intrappolate nella pietra leccese e liberate da uno scultore.

Biografia

Nato a Lecce nel 1980, Andrea Guido è un artigiano e scultore autodidatta. Fin da giovane ha sviluppato una forte passione per i materiali e per la precisione artigianale, trasmessagli dallo zio restauratore Dino Casilli. Durante l’adolescenza ha scoperto una colonia di gatti in un aranceto della sua città: un incontro che ha segnato la sua immaginazione e orientato la sua ricerca artistica. Da allora la pietra leccese, calcare tipico del Salento, è diventata il materiale principale con cui Andrea dà vita a sculture che celebrano la grazia e il mistero dei felini.

Stile e linguaggio visivo

Il lavoro di Andrea Guido unisce elementi realistici e forme astratte, creando un linguaggio visivo essenziale e poetico. I gatti sono il tema centrale delle sue opere: non solo corpi, ma creature che incarnano indipendenza, eleganza e spiritualità. L’artista cerca di liberare dalla pietra l’anima del gatto, trasformando la materia in un simbolo di trascendenza.

Il gatto incarna indipendenza, essenzialità, trascendenza. È difficile inquadrarlo, come è difficile inquadrare un artista.

Opere selezionate

Trip
Trip

Un gatto avvolto dalla sua lunga coda, simbolo di stabilità e protezione. L’opera riflette la capacità di trasformare un concetto astratto – il viaggio della vita – in una forma tangibile, mantenendo un forte legame emotivo.

Gatto Capovolto

Un gatto in posa sognante e armoniosa, che rappresenta il sogno come connessione con la nostra parte più profonda. Le sue linee fluide evocano la dimensione spirituale e magica della vita felina.

Intervista

La nostra prima curiosità riguarda ovviamente la tua scelta artistica. Ti sei concentrato unicamente sulla figura felina tanto da diventare Lo Scultore dei Gatti”. Come mai proprio i gatti?
Sono appassionato di gatti da quando ero ragazzino. Sono affascinato dai gatti: secondo me è l’animale più bello, più carico anche di significati profondi. Credo sia un grande esempio di trascendenza. E di indipendenza. L’indipendenza è qualcosa di molto caro agli artisti, e il gatto incarna proprio questo aspetto. Incarna l’essenziale, se vogliamo. È sempre difficile inquadrare un artista, come penso sia difficile anche inquadrare i gatti in qualche modo. E poi mi piacciono molto le loro linee. Quindi li ammiro anche dal punto di vista estetico. Secondo me i gatti sono creature ricche di bellezza: è difficile, anzi è impossibile dire il contrario, no? Negare questa loro oggettiva grazia e bellezza.

La pietra è rigida e pesante, il gatto è liquido e sfuggente: trasformare questa contraddizione è la mia sfida.


Parlando del processo creativo, come affronti questa dualità tra la pietra, dura e pesante, e la sinuosità ed elasticità del gatto? Come si dà vita ad un gatto partendo dalla pietra leccese?
Esattamente! Da un lato c’è qualcosa di duro e rigido e dall’altro c’è questo essere quasi liquido del gatto. E credo che questa sia un po’ una sfida per tutti gli scultori in generale. È come se lo scultore si prendesse carico di un compito quasi spirituale: trasformare la materia in qualcosa di immateriale. Nel caso mio è forse più evidente perché creo forme essenziali e utilizzo i gatti come soggetto, però un po’ tutti gli scultori lo fanno, anche se alcuni scelgono dei soggetti diversi, comunque questo lavoro alchemico dello scultore è proprio tipico, insomma, è qualcosa di caratteristico. Nel mio caso è proprio una filosofia. Ho fatto innumerevoli tentativi. Quando ho iniziato a scolpire avevo 17 anni. Ho iniziato con il legno. Mi facevo i pezzi degli scacchi in legno. Sono autodidatta, ho iniziato per caso, ecco, poi ho scoperto che mi piaceva scolpire. Ed ero circondato di gatti: passavo tantissimo tempo nel giardino di mia nonna da piccolo e in questo giardino i gatti in qualche modo mi hanno stregato. E più volte ho cercato di catturare la loro essenza. Ho sempre amato disegnare, sono stato sempre un appassionato d’arte, quindi mi sono cimentato con tanti soggetti diversi, però il gatto era particolarmente difficile e mi sono intestardito. Mi sono intestardito perché volevo in qualche modo capire come di rappresentare questa essenza della bellezza del gatto… È stato un processo lunghissimo, ci ho messo molto, sì.

Scolpire significa liberare il gatto che è intrappolato nella pietra.

Quindi tu parti da un disegno? Qual è il processo che porta a queste sculture?
A volte parto da un disegno, tracciando solo la sagoma sul blocco: i punti di riferimento, le linee principali. Altre volte, invece, scolpisco senza neanche disegnare, lo scolpisco direttamente, però ovviamente l’idea è già in testa. La scultura in realtà avviene in due tempi diversi: viene prima realizzata a livello mentale. Mi creo proprio un’immagine che vedo nella testa e dopodiché scelgo il blocco che si adatti a quella forma. E quindi poi avviene per la seconda volta la scultura, viene ricavata dal blocco. E la scultura in realtà io la immagino, come quasi tutti gli scultori, già all’interno del blocco. La immagino e la tiro fuori dal blocco. Libero il gatto che è intrappolato nella pietra.

C’è stato un gatto che più di altri ti ha fatto dire “È lui, voglio scolpire questo gatto”? E sei circondato da gatti mentre lavori?
Ho sempre avuto molti gatti, ma non c’è ne stato uno in particolare che mi ha ispirato. Mentre lavoro a volte sì, stanno con me. Però dipende sia dal loro umore sia da quello che sto facendo: se ho dei pezzi particolarmente instabili, se sto lavorando su qualcosa di sottile e alto, cerco di evitare – perché a volte può succedere che mi buttano via qualche pezzo, ed è successo… Sono pur sempre gatti.

Hai una formazione da autodidatta, ma ti ispiri a qualche altro artista che sia scultore, pittore o hai trovato subito la tua via?
Non mi ispiro a nessuno in particolare, però ho le mie preferenze dal punto di vista artistico. A me è sempre piaciuto Modigliani. Alcuni dei miei gatti hanno testa e collo che potrebbero ricordare quelli fatti da Modigliani. Sì, sicuramente un po’ di impronta me l’ha lasciata Modigliani. Per questa scultura, invece, mi sono ispirato a Keith Haring che In alcune sue opere sovrapponeva gli omini che sembrava volessero danzare (indica la statua Puzzle, che raffigura due gatti sovrapposti N.d.R.). E poi anche alcuni astrattisti, Henry Moore ad esempio mi piace molto. Diciamo che io preferisco le linee essenziali, le forme il più possibile semplici, però in quell’essenza ci deve essere tutto. Non deve essere una finta essenza: va bene la semplicità, però una semplicità che sia ricca di aspetti sia estetici che spirituali, se vogliamo.

Un’ultima domanda: Il tuo primo ricordo di un gatto. Ci raccontavi di tua nonna, del giardino, ma c’è proprio uno dei primi ricordi quando hai detto “questo animale ha qualcosa di quasi trascendente”?
Non riesco a identificare il primo ricordo, però probabilmente quando ero proprio piccolo, giocando nel giardino con mio cugino fantasticavamo su streghe, orchi, cose di questo tipo. E c’erano diverse case abbandonate che si affacciavano su questo giardino e vedevamo questi gatti che entravano, uscivano, andavano dove volevano, quindi in qualche modo questo ha contribuito a creare questa quest’idea del gatto misterioso, trascendentale, magico.

Dove potete vedere le opere di Andrea Guido

È possibile ammirare le opere di Andrea Guido presso la galleria d’arte contemporanea MAiDE dove sono esposte assieme a quelle di altri artisti che utilizzano la pietra leccese per scolpire.

Potete trovare Andrea Guido su Instagram cliccando qui.

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