Fiera, misteriosa e gloriosamente inclassificabile — Leonor Fini (1907–1996) non era soltanto un’artista che amava i gatti. Viveva come loro. Nata a Buenos Aires e cresciuta a Trieste, Fini si formò tra venti di mare, incroci di culture e una naturale indipendenza felina che avrebbe segnato per sempre la sua vita e la sua opera.

Donna del Lago or Le Bout du monde II, painted circa 1953

In giovane età Fini studia con il pittore triestino Edmondo Passauro, la cui disciplina accademica le dona la sicurezza tecnica necessaria per poi infrangere ogni regola. Trasferitasi a Parigi, entra nell’orbita dei Surrealisti — ma, come ogni gatto che si rispetti, rifiuta di lasciarsi addomesticare. Rigettò i loro dogmi, scolpì una visione tutta sua e divenne una delle voci più singolari dell’arte europea del Novecento.

Vita con i gatti: compagni, specchi, muse

Per Fini i gatti non furono mai semplici animali domestici. Erano pari, creature sovrane che condividevano i suoi spazi, il suo processo creativo e il suo mondo interiore. Talvolta ne accoglieva fino a diciassette, lasciandoli muoversi liberamente nel suo appartamento parigino come una piccola comunità di divinità domestiche. Dipingeva circondata da pelo e fusa, e questa intimità quotidiana si riflette nella sua opera.

Leonor Fini dà da mangiare ai suoi gatti nella sua cucina, 1953 (foto Jack Garofalo)

I gatti, per Fini, incarnavano mistero, sensualità, potere e rifiuto — qualità che vedeva anche nelle donne e che rivendicava per sé. Molti critici hanno notato come le figure femminili dei suoi quadri appaiano spesso con gatti, come gatti o in pose feline — non come semplici decorazioni, ma come profondi alter ego. Non erano muse passive o figure ornamentali, ma sacerdotesse, regine e mutaforme con gli artigli.

Gatti su tela: La Vie Idéale e Dimanche après-midi

Nell’opera di Fini i gatti non sono mai secondari. Due lavori in particolare ne testimoniano la centralità:

La Vie Idéale (The Ideal Life) 1950
Una composizione onirica, quasi liturgica: una donna dalle sembianze divine è circondata da una costellazione di gatti, ciascuno con una personalità distinta. La scena evoca non solo compagnia, ma uno stato ideale dell’essere — dove energia femminile e felina convivono in armonia e sovranità.

Dimanche après-midi (Sunday Afternoon) 1980
Un tableau surreale che presenta ritratti di Fini e dei suoi gatti disposti come icone sacre o figurine delicate. Alcune fonti lo citano come litografia, altre come olio su tela — ma tutte concordano sull’impatto. Qui il confine tra donna e gatto diventa volutamente instabile. La femminilità è al tempo stesso celebrata e messa in discussione. I gatti non sono animali da compagnia, ma testimoni, specchi, spiriti guida. Quest’opera accompagnava Fini ogni anno nei suoi spostamenti tra Parigi e la casa di campagna a Saint-Dyé, diventando un emblema personale — un rito domenicale vissuto in compagnia della sua tribù prescelta.

Un’anima triestina

Leonor Fini descrisse spesso Trieste come la sua vera casa. Nata a Buenos Aires, vi si trasferì a soli due anni quando la madre, Malvina Braun, tornò in città. In quell’ambiente raffinato e negli stimolanti circoli intellettuali triestini — che includevano figure come Umberto Saba, Italo Svevo e Gillo Dorfles — prese forma la sua identità artistica.

Fu proprio a Trieste che la giovane Leonor ebbe il suo primo incontro con un gatto — una presenza enigmatica che avrebbe segnato la sua immaginazione e divenne un motivo ricorrente nella sua arte.

Sphinx Ariane, 1973

Il legame con Giorgio Cociani nacque da una comune devozione ai gatti. La loro amicizia iniziò a metà degli anni ’80, quando Fini ricevette da Cociani la foto di un randagio che aveva salvato — un gesto che giunse in un momento per lei doloroso, subito dopo una perdita affettiva. Fini scrisse di considerare i gatti “angeli” e vide in quell’immagine una forma di consolazione. Da allora, per circa vent’anni, i due si scambiarono lettere e telefonate quasi quotidiane, sempre incentrate sui gatti.

A testimonianza di quell’amicizia, Fini donò a Cociani una ricca e in gran parte inedita raccolta di opere — molte delle quali a tema felino.

Nel 2021 la mostra Memorie Triestine, curata da Marianna Accerboni, presentava quasi trenta lettere e cartoline illustrate che Fini inviò a Cociani, arricchite da disegni e collage di gatti, insieme a schizzi e stampe rare. Documenti che rivelano un universo privato dove i gatti erano muse creative e compagni spirituali. 

Petite filles aux chats, 1960

Perché Leonor Fini è importante per Cats Museum

Per noi, il rapporto di Fini con i gatti è molto più di un dettaglio biografico: è la prova viva di come la presenza felina possa modellare immaginazione e vita. Il suo legame con Trieste e con Cociani nasceva da una comunione artistica ed emotiva fondata sui gatti. Non simboli neutrali, ma partecipanti attivi della sua arte, dei suoi archivi, del suo mondo. La sua storia incarna perfettamente lo spirito di Cats Museum: un luogo dove i gatti non sono solo rappresentati, ma abitano la cultura, l’arte e lo scambio creativo.

Fonti

Condividi questa pagina:

0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *